Concorso fiorentino: le formelle che cambiarono la Storia
Il 7 agosto 1420, Filippo Brunelleschi intraprende la costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore. Oggi, seicento anni dopo, quella meravigliosa opera ancora si erge a simbolo della Città di Firenze. Ho voluto ricordare questo anniversario “artistico” attraverso due miei articoli, apparsi su Stezzano Nostra, rispettivamente nel novembre 2016 e nell’ottobre 2017. Buona lettura.
Lorenzo Ghiberti portò nel 1424 brillantemente a termine quello che fu tra i suoi primi e più grandi capolavori: la Porta Nord del Battistero di San Giovanni a Firenze. Iniziata nel 1403, Ghiberti allestì intorno alla sua creazione una vera e propria bottega che, in breve, diverrà uno tra i principali punti di riferimento del Rinascimento. Fu proprio da essa che passeranno, come garzoni, apprendisti e collaboratori, personaggi quali Donatello, Michelozzo, Masolino, Paolo Uccello. Questa meravigliosa porta bronzea si compone di ventotto formelle con cornice quadrilobata mistilinea rappresentanti episodi della Vita di Cristo, ritratti degli Evangelisti e dei Dottori della Chiesa. Il tutto è incorniciato da decorazioni con motivi floreali e da “testine” di profeti e profetesse. Nella realizzazione della porta Ghiberti cercò di conciliare caratteri nuovi: la rappresentazione più realistica delle masse e dei volumi con la tradizione scultorea del Gotico Internazionale. Pur persistendo la rigidità tipica dell’Età medievale, l’artista cercò di affrontare problemi prospettici. Un esempio delle nuove soluzioni adottate dal Ghiberti è rintracciabile nella quarta formella del registro interno del battente di destra: la “Cacciata dei mercanti dal tempio”. I personaggi sono raffigurati tutti raggruppati al centro su una sorta di mensola orizzontale aggettante (carattere peculiarmente medievale), ma è nel gesto di Cristo, che si avventa sui mercanti, che si può già osservare il preludio ad un naturalismo di stampo genuinamente rinascimentale.
Conclusasi questa doverosa, e breve, descrizione di uno dei capolavori più importanti del Rinascimento italiano, una domanda può sorgere spontanea: come ha potuto, Ghiberti, orafo e assolutamente non un artista fino ad allora, ottenere la commissione per un lavoro così importante, uno tra i molti “biglietti da visita” della Firenze rinascimentale? È proprio attorno a questa domanda che si articola una storia a dir poco incredibile e documentata, forse un unicum nella Storia dell’Arte.
Nel 1401, infatti, l’Arte dei Mercanti, una delle maggiori corporazioni di Firenze, bandì un vero e proprio concorso per la realizzazione della Porta Nord del Battistero. Questo fatto dimostrò come i tempi stessero ormai subendo una radicale trasformazione: i mercanti, punta di diamante della nuova, emergente borghesia imprenditoriale, compresero per la prima volta che stimolare la concorrenza tra artisti è garanzia di risultati qualitativamente migliori. Un ragionamento di straordinaria modernità: accrescere la ricchezza artistico-culturale della città e consolidare il prestigio dei suoi mercanti. A questo concorso presero parte molti tra i migliori orafi e artigiani fiorentini e toscani: Filippo Brunelleschi, Lorenzo Ghiberti, Jacopo della Quercia, Francesco di Valdambrino, Simone da Colle, Niccolò di Luca Spinelli, Niccolò di Pietro Lamberti. Tutti costoro giudicati da una giuria di trentaquattro giudici. Il tema del concorso consisteva nella realizzazione di una formella in bronzo dalla complessa sagomatura, mistilinea quadrilobata (per uniformarsi a quelle che componevano la preesistente Porta Sud, capolavoro trecentesco di Andrea Pisano), con soggetto la scena biblica del “Sacrificio di Isacco”.
Secondo molte fonti, la “finale” venne disputata tra Brunelleschi e Ghiberti, le cui formelle sono le uniche pervenuteci. Entrambe custodite al Museo Nazionale del Bargello di Firenze, esse permettono un’analisi parallela.
Nella formella del Ghiberti (a destra) la sensazione di equilibrio e compostezza è estremamene visibile e riconducibile ad un modello classico: il gruppo di personaggi a sinistra infatti controbilancia perfettamente quello di destra. Vasari elogerà questo operato e, a riguardo, scriverà che le figure sono “svelte (snelle) e fatte con grazia ed attitudini bellissime”. Altro richiamo all’equilibrio è la roccia che divide geometricamente la scena distinguendone i diversi momenti narrativi. Sulla sinistra i servitori colloquiano tranquilli, sulla destra si trovano invece le figure di Abramo e Isacco. I due protagonisti sono realizzati con estrema perizia tecnica e abbondanza di particolari, tuttavia dai loro gesti, lenti e armoniosi, non traspare la drammaticità del momento. Il tutto viene reso ancor più formale e pomposo dal corpo nudo di Isacco, citazione classica, e dalle decorazioni dell’altare. Un angelo, infine, sembra, grazie ad un estrema arditezza prospettica, fuoriuscire dal piano stesso della formella, creando un innovativo effetto di profondità spaziale.
La composizione del Brunelleschi (a sinistra), invece, perde completamente la classicità e la pacatezza ghibertiana, articolandosi al contrario attraverso accenti drammatici, forzando in senso più umano e concreto il racconto biblico. Isacco è meno formale e più umano: il giovane tenta in tutti i modi di volersi divincolare dalla stretta del padre. L’intervento stesso dell’angelo è più materiale, più corporeo e meno simbolico: egli blocca fisicamente il braccio di Abramo, afferrandolo con la mano. Divino e umano entrano drammaticamente in contatto. Marginali ma comunque eccezionali sono anche i personaggi minori che circondano la scena. Incredibile è la posizione dell’asino, “piazzato” quasi senza rispetto per la solennità del momento davanti agli occhi degli osservatori. Le altre figure, i due servi incurvati, fuoriescono addirittura dall’angusto spazio loro assegnato: la cornice stessa della formella. Brunelleschi si mostra insofferente agli schemi dell’arte gotica e cerca di eluderli… Tuttavia non sempre le grandi rivoluzioni vengono fin dal principio apprezzate.
A vincere il concorso fu infatti Lorenzo Ghiberti o, meglio, le maggiori garanzie di equilibrio compositivo della sua opera che apparvero più sicure ed affidabili della rivoluzione brunelleschiana. Sulla natura della vittoria le fonti riportano pareri contrastanti. Ghiberti, dal canto suo, scrisse nei suoi “Commentari” che il trionfo fu unanime: “Universalmente mi fu conceduta la gloria sanza alcuna exceptione”. Antonio Manetti, umanista, architetto e matematico, nonché futuro biografo di Brunelleschi, scriverà della grande indecisione dei giudici che attribuiranno la vittoria ex aequo e saranno successivamente le liti tra i due artisti riguardo lo stile a provocare il rifiuto di Brunelleschi a lavorare con Ghiberti: “Filippo non volle mai consentire se l’opera non era tutta sopra di lui”. Fatto sta che nel 1403 Ghiberti intraprese la costruzione della porta, forse contento in cuor suo di aver prevalso sul suo più grande avversario. Peccato per lui che, dal 1420, alzando lo sguardo dal Battistero, mesto, avrebbe potuto osservare Brunelleschi stesso alle prese con la costruzione dell’opera d’arte che diverrà simbolo di Firenze: la cupola di Santa Maria del Fiore. È lecito chiedersi ora cosa sarebbe accaduto se Brunelleschi avesse vinto il concorso al posto di Ghiberti… ma è troppo difficile immaginarsi una Firenze senza la sua cupola.