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5 dischi da ascoltare: Jimi Hendrix

  1. Are You Experienced? (1967)

Trio esplosivo: capolavoro garantito.

Il disco di debutto del mago della chitarra ne rappresenta forse il picco più alto della carriera. Cosa accade quando si uniscono il miglior chitarrista al mondo, un bassista valido e abile come Noel Redding e un batterista incredibile, forse tra i migliori di sempre, come Mitch Mitchell? La risposta è “Are You Experienced? ”. Un album eccezionale, essenza e pietra miliare del Rock. Rimangono subito impressi nella mente dell’ascoltatore i riff di tracce quali “Foxy Lady” (chitarra) e “I Don’t Live Today” (batteria), i capolavori assoluti come “Fire”, “Hey Joe” e “Purple Haze”, i virtuosismi in tracce quali “Manic Depression” e “Are You Experienced?” e la bellezza assoluta della ballata rock “The Wind Cries Mary” nonché della poesia musicata jazz-rock “Third Stone from the Sun”. Insomma, di carne al fuoco ce n’è in abbondanza. Questo è un album da ascoltare dall’inizio alla fine come una lunga e maestosa traccia alla scoperta del gruppo Rock rivoluzionario e innovativo per eccellenza.

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  1. Axis: Bold as Love (1967)

Sperimentazione musicale.

È troppo. Stupite le vostre orecchie, sbalordite la vostra mente, strabuzzate gli occhi, fate quello che volete, ma per favore ascoltatevi Hendrix come non avete mai fatto prima. È troppo; che altro dire? ” Così si esprimeva il “Melody Maker”, tra i più antichi settimanali musicali al mondo, all’uscita del disco. Follia e sperimentazione psichedelica: l’album che trasforma Hendrix da un prodigio passeggero all’Uomo della chitarra, invidiato da molti e amato dalle folle. Dal viaggio immaginario di “Spanish Castle Magic” alla lunga e sperimentale, quanto accuratamente arrangiata, “If 6 was 9 ”, l’album offre tracce nelle quali immergersi, lasciandosi trasportare dai sensi. Chi non si è mai emozionato ascoltando “Little Wing”? Quella voce, quella chitarra, quella melodia che esprimono tutta la genialità di un uomo che sapeva pensare come una chitarra, che sapeva dialogare con essa. Disco spesso sottovalutato, troppo spesso mai ascoltato, tuttavia iconico macigno nella storia della ricerca psichedelica.

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  1. Electric Ladyland (1968)

Nel regno del Voodoo.

Questo disco rappresenta il culmine del grande e meraviglioso progetto “The Jimi Hendrix Experience” e forse ne è il prodotto migliore e meglio elaborato. “Crosstown Traffic” ci rammenta la tensione e l’inquieta agitazione delle grandi metropoli. “Gypsy Eyes”, brano che sembra riallacciarsi al funk rock, ad una sonorità primitiva, racchiude in sé la dolcezza del ricordo per la madre defunta di Hendrix. “Burning of the Midnight Lamp” rappresenta forse il primo eccellente arrangiamento di un brano scandito dal suono “wah wah”, il pedale che diventerà iconico nelle canzoni di Hendrix e nei suoi concerti dal vivo. “All Along the Watchtower” è la poesia di Bob Dylan, le parole del bardo della musica, rivisitate in chiave rock: le note della chitarra di Hendrix raggiungono in questo brano una sonorità che non può essere definita solo perfetta, ma perfino celestiale e ultraterrena. “Voodoo Chile (Slight Return)” infine è il capolavoro assoluto, la coronazione della maestria di Hendrix alla chitarra, la magia che ipnotizzerà milioni e milioni di persone durante i concerti live del grande chitarrista.

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  1. Live at Monterey (2007)

Il primo, iconico, grande live.

Domenica 18 giugno 1967, sale sul palco del Monterey Pop Festival una band ancora sconosciuta. Di loro qualcosa si sapeva e si bisbigliava, le loro tracce riscuotevano un buon successo, personalità del calibro di Eric Clapton iniziavano a drizzar le orecchie. Fatto sta che quella domenica, Brian Jones, chitarrista e fondatore dei Rolling Stones, presentò la prima apparizione su un grande palcoscenico internazionale della “The Jimi Hendrix Experience”. Si può affermare con certezza, senza incorrere in critiche, che Jimi Hendrix divenne icona proprio a Monterey. Il chitarrista suonò alcuni dei suoi grandi pezzi (“Foxy Lady” e “Purple Haze”), rivoluzionò il sound rock classico con riff pazzeschi (“Killing Floor” e “Rock Me Baby”), eseguì cover eccellenti (oltre alle due canzoni appena citate è da annoverare anche la magnifica cover di “Like a Rolling Stone” di Bob Dylan). E infine, forse per la prima volta nella storia della musica, fece del suo concerto un film e ne plasmò l’epilogo attraverso un atto che tutti hanno ancora nella mente: alla fine della canzone “Wild Thing”, Hendrix bruciò la propria chitarra, fatto che fece molto discutere. Lascerò a Hendrix stesso le ultime, conclusive, parole in merito: “Quella volta in cui ho bruciato la mia chitarra fu come un sacrificio. Si sacrificano le cose che si amano. Io amo la mia chitarra”.

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  1. Live at Woodstock (1999)

18 agosto 1969: ora è Leggenda.

Che altro c’è da aggiungere? Basterebbe leggere le due frasi sopra per capire a cosa si è di fronte. “The Jimi Hendrix Experience” non esisteva più, ma Hendrix esisteva ancora, purtroppo non per molto, ma abbastanza per diventare leggenda. Il concerto live a Woodstock vide il mago della chitarra risplendere radioso, attraverso il ritmo blues di “Red House” trasformato in virtuosa follia, attraverso riff distruttivi come “Lover Man” o “Izabella”, attraverso quell’inno, “Star Spangled Banner”, l’inno USA, fatto risuonare amoreggiando con le corde della sua chitarra: note in cui vi erano le parole dell’inno, la musica dell’inno, la forza dirompente dei razzi e delle bombe citati nell’inno. Infine, come non citare “Voodoo Chile”: più di 13 minuti di musica, effetti sonori, improvvisazioni e geniali intuizioni, un intro devastante e dirompente, assoli da favola. La vera essenza del più grande di tutti, del genio, del rivoluzionario, in un solo nome: Jimi Hendrix.

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