Viaggio tra due decenni. Parte quarta
1° gennaio 2020: Lovanio – Aquisgrana
Complice la scelta del giorno, Lovanio di prima mattina appare come deserta. È tuttavia una desolazione quella delle sue vie da cui si percepisce una certa tranquillità domestica dopo il clamore di Bruxelles.
C’è nebbia e non riesco a capire dove si trovi il centro: il mio è un amabile perdersi tra vie sconosciute ma pittoresche. Perdere la meta certe volte è piacevole, gratifica ancor più il ritrovarla.
Il senso dell’orientamento si ripresenta quando la Collegiata di San Pietro, edificio ancora una volta fiammeggiante e brabantino mi accoglie tra le sue braccia. La facciata è clamorosamente incompiuta anche se la grande polifora, che pare ricamata, si sforza in parte di far distogliere l’attenzione dell’osservatore dalle mancanze e dalle asimmetrie che la circondano. Purtroppo è il primo giorno dell’anno e anche la cultura deve pur fermarsi dai bagordi della notte brava, dunque la cattedrale è chiusa e mi limito a girarle attorno. Improvvisamente, come una folgore, resto spiazzato dalla stupefacente bellezza di un edificio. Si tratta del Municipio, il Palazzo comunale di Lovanio: è la mia meta. 236 statue affollano le facciate del palazzo, nascondendo l’architettura e accompagnando bifore che si aprono qua e là. Le torri sembrano nascere da questo groviglio di complessità come fili di una matassa che si slanciano verso il cielo. L’ardita architettura del municipio fusa con la perizia dell’arte scultorea mi lascia senza fiato. Non sembra pietra, ma un materiale più soffice, leggero. Forse una nuvola, proprio come una di quelle nuvole dalle quali, lassù, sta filtrando il primo raggio di sole del giorno. E anche dell’anno.
Il viaggio in Belgio si conclude. Provo un grande rimpianto nel non aver scelto Anversa come tappa del mio viaggio, rammarico che forse è l’esito naturale della vaga delusione causata da Bruxelles. Me ne faccio una ragione, siglando con me stesso una promessa di viaggio futuro. Attraverso dunque rapidamente l’Olanda, nei pressi di Maastricht, per giungere in Germania, ad Aquisgrana.
Non voglio ingannare nessuno: raggiunto il centro storico, scrutato il Rathaus, ho un solo obiettivo. Si tratta della Cattedrale e della Cappella Palatina di Carlo Magno. Dall’esterno è un crogiuolo di stili differenti e di continue aggiunte che però non stonano tra loro. Il risultato è una struttura atipica e unica, un mosaico architettonico di epoche diverse che ha come fulcri attrattivi l’alto torrione della facciata, la cupola centrale e l’alto coro gotico.
Noto con piacere lungo le strade il simbolo di Carlo Magno, “KAROLUS”, me ne compiaccio e mi sento più storico che mai: ne sono felice e orgoglioso.
L’ingresso nell’edificio è clamorosamente spiazzante: ciò che fuori era semplicemente magnifico dentro è indescrivibile. Mi ritrovo al centro della cupola ottagonale, centro del potere carolingio e di quella rinascita culturale che ha attraversato i secoli VIII e IX. Il numero otto ritorna più volte nella struttura, celando molteplici significati cristiani. I pilastri che mi circondano sono massicci, luccicano di preziosi marmi e propongono la regolare bicromia tra bianco e verde. Ma ciò che mi lascia a bocca aperta è l’atmosfera aurea. Un universo d’oro è lo spettacolo più entusiasmante della mia vita. Ci si ritrova in una dimensione altra, astrusa e differente da tutti gli altri edifici sacri. C’è ovunque profumo di storia, dello scorrere dei secoli. I mosaici di Aquisgrana sono il cielo stellato della Storia.
D’ora in poi, quando qualcuno con un velo d’ironia mi chiederà (cercando nei miei occhi uno sguardo che tradisca un velo di pentimento) perché scelsi la storia come passione e professione, io con altrettanta ironia potrei limitarmi a tacere e mostrare una fotografia di questo spettacolo. Ecco la mia scelta, non biasimatela. E nei miei occhi troverete solo lacrime di gioia, non pentimenti.