Un “colossal” d’animazione… mancato
Un “colossal” d’animazione… mancato
“È importante per me che l’energia di Tolkien sopravviva. È importante che la qualità dell’animazione corrisponda con la qualità di Tolkien.”
Bakshi
Chiunque, esperto o meno di letteratura fantasy, ha nella mente scene o quantomeno immagini e ricordi della spettacolare trilogia di Peter Jackson, considerata primo adattamento cinematografico del romanzo di J.R.R. Tolkien “Il Signore degli Anelli”.
Inutile dilungarsi ora oltremodo nel sottolineare l’alto livello raggiunto dalle tre pellicole, la ricostruzione decisamente fedele al romanzo, le colossali riproposizioni verosimili e caotiche delle battaglie tolkieniane e la finezza aggiunta dalle scelte musicali.
La trilogia jacksoniana è un capolavoro assoluto, punto. Questo è indubbiamente fuori discussione. Tuttavia non fu la prima trasposizione cinematografica del romanzo di Tolkien…
Nel 1978, infatti, uscì nelle sale inglesi e statunitensi un rivoluzionario film intitolato per l’appunto “Il Signore degli Anelli”.
Non fu un film qualunque: infatti si tentò di ideare una sorta di “colossal” moderno… In particolare, un “colossal” d’animazione.
Diretto dal regista e animatore Ralph Bakshi, il progetto originario prevedeva due pellicole: una avrebbe contenuto i primi due libri della trilogia, “La Compagnia dell’Anello” e “Le due Torri”, l’altra il terzo e ultimo volume, “Il Ritorno del Re”. Ciò nonostante questo progetto originale fu in seguito abbandonato e solo la prima pellicola trovò realizzazione.
Come mai questo film è stato considerato così rivoluzionario? E perché tuttavia venne, nel corso degli anni, quasi dimenticato? Rispondiamo ad una questione per volta…
Bakshi, fin da quando si era avvicinato al progetto in qualità di regista, aveva covato la decisa intenzione di ideare un film d’animazione che adattasse il romanzo tolkieniano al grande schermo fedelmente, senza eccessivi troncamenti o sconvolgimenti. Come fare dunque per riproporre anche le grandi battaglie del romanzo in una pellicola d’animazione? Il problema non era affatto da prendere alla leggera e per questo Bakshi decise di adoperare il “rotoscoping”. Tale tecnica d’animazione era essenziale affinché le figure umane (o umanoidi) presenti nel cartone animato fossero più realistiche possibili. Attraverso questo procedimento, il disegnatore procedeva con il ricalcare immagini che, già presenti su una precedente pellicola, venivano proiettate su un pannello di vetro traslucido, supporto al disegno.
Bakshi lo definì: “primo esempio di pittura realistica in movimento” e il risultato fu decisamente eccellente. Ricalcando i movimenti di personaggi reali ripresi dal vivo, il regista riuscì perfettamente a ricreare una strabiliante atmosfera tolkieniana. In breve, possiamo affermare ch’egli abbia reso il proprio film una sorta di lungometraggio espressionista dove i diversi artisti partecipanti al progetto riuscirono a trasmettere i propri, differenti stili legati alle loro esperienze e al loro gusto personale direttamente nella realtà senza alcun filtro. È così spiegata anche quella certa durezza e ardua percezione delle immagini, spesso caotiche e confuse.
All’ingenuità e spontaneità dei protagonisti “buoni” del film, spesso collocati nel loro agire in ambienti ameni e accompagnati da dolci musiche, si contrappone l’incredibile fascino dei “cattivi”, cavalieri neri, orchi o altre bizzarre creature, immersi in tinte scure, fumose, sanguigne e spesso accompagnati non solo da musiche inquietanti, ma anche da terrificanti rumori.
Allora, detto ciò, perché questa pellicola è oggigiorno quasi totalmente dimenticata?
Le ragioni sono le più disparate e, tra queste, un grave danno involontario lo causò sicuramente la più aggiornata (e meglio riuscita) trilogia di Peter Jackson il quale, lui stesso lo ammise, si ispirò pesantemente al film di Bakshi per la realizzazione dei propri film.
Un’altra motivazione fu certamente lo scarso successo del primo film del 1978, non tanto per gli incassi al botteghino, che ottuplicarono i costi di produzione, ma per la reazione del pubblico.
Da un lato vi fu una reazione più che onesta e prevedibile dato che, molti di coloro che si diressero nelle sale avendo già letto il romanzo tolkieniano, si trovarono di fronte ad un prodotto sì innovativo, ma assurdamente incompleto. Infatti il film che, ricordiamolo, si intitolava “Il Signore degli Anelli”, lasciando intendere di coprire tutta la trilogia, si concludeva “troncato sul più bello” in corrispondenza della conclusione della Battaglia del Fosso di Helm, ossia poco prima della fine del secondo romanzo di Tolkien, “Le due Torri”. Ciò rappresentò un tradimento vero e proprio verso tutti i fan del capolavoro fantasy…
E come se ciò non bastasse, anche diverse imprecisioni andarono ad intaccare le pure immagini trasmesse dalle opere tolkieniane, storpiandole con adattamenti decisamente erronei. Ne citeremo solo alcuni… Aragorn, tra i protagonisti principali del romanzo, viene rappresentato con i tratti tipici di un indiano d’America; Boromir, eroe di Gondor, è ispirato a un vichingo; Gimli, Nano, viene chiamato “Silvano”, nome riservato ad una stirpe di Elfi (errore che letteralmente sconvolse i veri e propri “feticisti” del mondo fantasy).
Imprecisioni che tutt’oggi stonano e appaiono decisamente grossolane, ma che andrebbero comprese e ignorate cogliendo invece la bellezza innovativa che il film trasmette complessivamente.
È indubbiamente un film ancora arcaico, che soffre gravemente la mancanza di un sequel, ciò nonostante è indubitabile che la pellicola segnò la via verso l’animazione odierna attraverso un prodotto non consueto, rivoluzionario e, soprattutto, artistico.
Esatto: “Il Signore degli Anelli” del 1978 è, ancor prima di un film, un’opera d’arte espressionista… in movimento.