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Gli occhi del drago

STEPHEN KING, “Gli occhi del drago”, 1984, Sperling & Kupfer (2014)

“I cani sono amichevoli ma stupidi e così sono la maggior parte degli uomini e delle donne quando sono ubriachi. Un cane eccitato e confuso può mordere; un uomo eccitato e confuso può ricorrere alla violenza. Si dice del cane che è il miglior amico dell’uomo perché la sua fedeltà è cieca, ma se l’unica virtù di un uomo è la cieca fedeltà, secondo me costui è un uomo cattivo. I cani sanno essere coraggiosi, ma sanno anche essere vigliacchi e mettersi la coda fra le zampe. Un cane è pronto a leccare la mano del padrone cattivo quanto leccherebbe la mano di quello buono, perché il cane non conosce la differenza tra il bene e il male. Il cane è capace di mangiare il suo pastone, vomitare la parte che non riesce a trattenere e riprendere a mangiare”

Un romanzo fantasy o un thriller psicologico? Una fiaba per bambini o la storia della lotta tra bene e male? Sinceramente non saprei dare risposta a questi quesiti, forse tutti sono possibili, forse nessuno. So solo che “Gli occhi del drago” è un racconto eccezionale, di incredibile acutezza e perizia psicologica e narrativa. Peter, primogenito puro e leale, perde la madre e dopo alcuni anni anche il padre, re Roland, della cui morte viene orribilmente incolpato a causa dei tranelli del malvagio mago di corte, Flagg. Solo Thomas, il fratello minore di Peter, sa. Tutto vide, attraverso gli occhi del drago, solo lui conobbe la verità. Tuttavia il suo silenzio costerà la prigionia a Peter, durante la quale tutti i ricordi dell’amata madre tornano utili: i suoi insegnamenti, la casa delle bambole, persino i tovaglioli… Una fiaba non canonica, un nemico da sconfiggere, personaggi dalle psicologie maniacalmente delineate. Uno, fra i molti, capolavori del genio di Stephen King.

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